Le pratiche del disgusto: Intervista ad Ugo Cornia



Ugo Cornia è nato a Modena nel 1965 e ha pubblicato con Sellerio Sulla felicità a oltranza (1999), Quasi amore (2001), Roma (2004); ora è uscito il suo ultimo romanzo Le pratiche del disgusto (Sellerio, 2007) che sarà presentato alla Feltrinelli di Modena sabato 3 marzo ore 18.00.


Il titolo originario del tuo primo romanzo avrebbe dovuto essere, se ben ricordo, “Fra poco saremo tutti morti”. Ecco, io lo trovo un gran bel titolo, ma come al solito, ed è un problema generale, la morte, come la solitudine, sembra non debba andare d'accordo con ciò che si offre “al pubblico” - Se non sempre in maniera esplicita ci deve essere un modello “vincente” o per lo meno compiaciuto...quindi tutto ciò che non rappresenta “gioventù”, “ricchezza”, “sesso”, insomma potere sociale, non sembra fatto per la società. Tu cosa ne pensi, e come credi possano influenzare la “cultura generale” questi valori?

In realtà non c’erano gran discorsi sulla morte, che è un problema astratto. C’erano dei discorsi su dei morti, cioè gente che a un certo punto è morta, e poi sulla vita che queste persone hanno fatto. Tra gli atti che queste persone hanno compiuto e che facevano parte della loro vita c’è anche il momento in cui sono morti, cioè la loro morte. Forse non è neanche l’ultimo la morte perchè dopo c’è il funerale, la sepoltura e così via. E il problema della morte quindi possiamo anche lasciarlo perdere perchè a me interessano dei morti, e non la morte. Io ho delle relazioni abbastanza intense con vari morti anche perchè a casa mia, cioè credo come in buona parte delle famiglie italiane, per esempio a tavola, saltava in mente a qualcuno una cosa che aveva fatto mio bisnonno nel millenovecentododici e tutti iniziavano a parlarne per mezz’ora e io sono cresciuto con in testa la frase “il nonno Adolfo e la nonna Marietta”. Anche se erano già morti da più di cinquantanni era come se fossero nella stanza di fianco. E continuo a avere quel rapporto lì con I morti. Ci sono dei casi singolari, spesso ridicoli, o anche da piangere, della vita di quelle persone, delle specie di imprese, che sono rimasti e a forza di sentirli raccontare è quasi come se ci fossi stato anch’io mentre si svolgevano queste imprese, per esempio come quando mio bisnonno corteggiava mia bisnonna, io adesso mentre scrivo queste righe vedo mio bisnonno sotto il balcone di mia bisnonna, che sono ragazzi e lui le suona il mandolino, e vedo questa cosa come un filmino, cioè come se l’avessi veramente vista. La famiglia, finché c’era veramente, era questa cosa qua: uno che cresce in mezzo a centocinquant’anni di imprese di attuali morti.

Come mai si teme così tanto la morte e parlare delle morte?

Perchè la morte fa paura a tutti. Invece le imprese di quelli che adesso son morti, cioè dei morti, fanno ridere o commuovono ma sempre rinfrancano. Se penso al padre di un mio amico, che io ho visto per tutta la vita, e che l’aveva capito che presto moriva. Anche nell’ultimo periodo, che per uscir di casa doveva usare il bastone e si vedeva che faceva una gran fatica, ma uscir di casa a fare due passi e prendere una boccata d’aria, si vedeva che era come se avesse duecento chili di cemento sulle spalle, ma per prendersi la sua boccata d’aria si pagava contento i suoi duecento chili di cemento in spalla.

Nei tuoi libri c'è ricorrente la nostalgia, e pure la rabbia, forse anche un malinconico amore del vivere...la famiglia come centro che forgia tutti I sentimenti futuri. Come risponderesti a quelli che rimproverano gli autori di autobiografismo...

Che secondo me non so cosa dire, quello che importa sono le parole che usi e la lingua che salta fuori. D’altronde è noto che è così. Se il narratore usa io c’è questo effetto autobiografico. Comunque mentre scrivo non ci penso mai all’autobiografismo.

Questo tuo nuovo libro Le pratiche del disgusto di cosa parla?

Non è autobiografico, è una specie di incazzatura verso alcune delle cose che mi fanno rabbia, ma è anche una cosa che ha un tono un po’ da invettiva, il tono prevalente è quello dell’invettiva, cioè dove quello che parla è incazzato e anche amareggiato.

Incazzato e amareggiato per cosa e da cosa e da chi…?

Ci sono quei periodi in cui uno è arrabbiato di suo, allora un giorno succede una cosa e ti fa imbestialire quella cosa lì, poi due giorni dopo succede una cosa diversissima e ti incazzi per quella cosa diversissima e così via. Io quando scrivo mi piace andar dietro a dei miei umori, per cui non c'entra cosa e chi. Mi piacciono quei periodi che per tre giorni odi il tuo meccanico, poi ti sta sul cazzo la biblioteca, poi il giorno dopo pensi che stai con una scema poi odi il cane di tua sorella, poi di colpo ti viene il periodo del buon umore.

Spesso si sente parlare “di scuola emiliana” quindi si tende a pensare a gruppi di scrittori emiliani come in una sorta di ghettizzazione. Quanto è vero che ci si può accomunare per la regione. Per te se ci sono, dove sono le differenze e dove stanno le eventuali analogie?

Io ho degli amici di scrittura che sono in buona parte emiliani e potrei dire anche che mi abbiano insegnato molte cose, anche se mi “abbiano insegnato” in un testo scritto è un’espressione che fa un po’ ridere perchè piglia un tono bolso, comunque questi amici sono Ermanno Cavazzoni, che ho conosciuto per primo, e poi Gianni Celati che ho conosciuto un po’ dopo, e Daniele Benati. Potrei anche chiamarli i miei maestri, ma fa ancora più ridere come espressione scritta. Poi ho conosciuto Paolo Nori molto dopo, ma a me, anche se so che molti pensano il contrario, mentre io e lui su questa cosa siamo d’accordo, mi sembra che io e lui usiamo la lingua in modo diversissimo. E comunque con Paolo, visto che avevamo la stessa età ci siamo sempre visti spesso anche per simpatia e compagnia. Invece ci sono molti altri scrittori emiliani che io non conosco e non mi interessa neanche di conoscerli. Sarebbe una cosa da matti dover conoscere tutti gli scrittori emiliano-romagnoli. Ero anche molto amico di Maurizio Salabelle, che era toscano e non emiliano.

Fare lo scrittore può essere un lavoro come un altro?

Per me non è un lavoro perchè io come lavoro faccio l’insegnante.

Però vorresti che lo scrivere divenisse il tuo unico lavoro o ti senti meglio ad alternare a un’altra attività? Magari avere più tempo per scrivere sarebbe bello oppure secondo te è irrilevante… Credo sempre che quando si scrive ci sia bisogno di una continuità mentale, se c’è qualcosa in mezzo, ti fa spezzare il ritmo, il ritmo emotivo del raccontare…Per te?

Non vorrei proprio che diventasse un lavoro, c’è stata questa mania non so se del sessanta o del settanta su questa parola lavoro, se io ci guadagnassi moltissimo con un romanzo sarebbe perfetto perchè diventerebbe ancora meno un lavoro che prima, ma sarebbe uguale se un giorno mi telefonasse un notaio australiano e mi dicesse che un terzo cugino di mio padre che era andato in america è morto e io eredito quindici miliardi e sono l’unico erede, dopo il problema del lavoro ci sarebbe ancora di meno, non c’è più neanche il problema di fare qualche lavoro. Però se io poi ereditassi quindici miliardi inizierei anche a chiedermi se la sorte non vorrà in cambio qualcosa per questi quindici miliardi. Quindi va tutto bene così, anche perchè io sto abbastanza bene a vivere come vivo.

Pubblicare è sempre un segno di narcisismo o no? Per te cosa ha rappresentato?

Non saprei. È una cosa che è difficile da spiegare. Poi dopo che hai pubblicato diventa tutto una cosa non tua, ma che ti riguarda, e che non riesci più a governare. É come avere una fidanzata pazza. Bisogna abituarsi a una cosa da cui dipendi, ma che non dipende totalmente da te e ti fa stare un po’ bene e un po’ male, come tutto.

Puoi dire che è cambiata la tua vita da quando scrivi anche per un pubblico?

Sarà cambiata di sicuro, per esempio ci guadagno un po’ di soldi che con l’aria che tira nei lavori veri non è un gran male.

Il bello dei libri - come le opere artistiche hanno il bello di poter essere del mondo e acquisire un'autonomia poi a prescindere dall'autore... Ma oggi c'è talmente tanta produzione e tanti autori, non credi che questo libro al macello o anzi al macero levi di valore in realtà a questa unicità del testo? Voglio dire un buon libro oggi è così riconoscibile rispetto a un buon libro ieri, e di conseguenza ha senso oggi parlare di letteratura?

Non saprei, sono questioni a cui penso poco, però la tele se uno non è di cattivo umore è bella da guardare: hai a disposizione un misto di deficenti, leccaculo, bande organizzate. Quella volta ogni tanto che senti uno normale che dice cose normali e che sembra che le abbia pensate veramente lui ti chiedi subito se c’è qualcosa sotto, perchè uno che dice cose normali sembra matto. L’unica cosa che mi dispiace è che non diano dei film porno alla tele.

Cos’è oggi la pornografia? La pornografia di un tempo è la stessa di oggi?

Non saprei, se è un arte credo che possa ancora dare il suo meglio, che non saprei che cosa sia e che forse non c’è ancora stato.

Opera e autore quanto sono scindibili e quanto non lo sono?

Uno in genere legge dei libri, quasi sempre di gente già morta. Se due o tre libri scritti dallo stesso personaggio ti piacciono è normale che un po’ chi era e che cosa faceva e come ha vissuto ti incuriosisca, se si tratta di uno ancora vivo è uguale. Però chiunque ha il diritto di scrivere una cosa come gli pare, e poi di vivere come gli pare. A me per esempio Céline mi sembra che doveva essere uno molto simpatico e anche un buon uomo, forse mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Forse invece era una testa di cazzo nella sua vita, ma i suoi romanzi sono bellissimi.

Quali sono i sentimenti più ricorrenti che ti danno lo slancio a scrivere? La rabbia in particolar modo credi sia necessaria per essere un buon scrittore? (ed io lo penso...)

È una emozione di sfrizzamento interno, all’altezza dello sterno, che è la stessa sensazione che ho all’inizio di tutte le occasioni mie di eccitamento erotico o sessuale. C’è una immagine - frase che quando mi metto a scrivere mi fa venire quell’emozione così e allora finché c’è quell’emozione lì vado avanti, può anche essere una cosa che mi fa quasi piangere mentre vado avanti a scrivere, ma sempre con questo senso di euforizzazione del mio corpo. È una cosa che secondo me una volta diceva Ermanno Cavazzoni, una specie di un piacere che uno sente mentre scrive, euforizzazione era una parola che usava lui, ma che secondo me è perfetta. Magari lui intendeva una cosa diversa, ma non so, non credo.

Cosa ne pensi dei vari “compromessi editoriali” – come appunto cambiare titolo, stare ad una trama o altro che si dovrebbe accettare per pubblicare...

Dipende molto, per me, da chi ti fa l’editing del tuo romanzo. Nel mio caso in tutte le cose pubblicate dalla Sellerio l’editing lo ha fatto una persona che si chiama Floriana e che ha un grande rispetto per la lingua e con cui mi sono sempre trovato benissimo perchè ha sempre un grande garbo verso le frasi. Per quel che riguarda i titoli invece devo dire che probabilmente una casa editrice e l’autore di un libro hanno spesso prospettive diverse, non so chi abbia ragione, forse hanno ragione le case editrici (mi riferisco alla Sellerio che è ancora una casa editrice in cui ci sono alcuni uomini, anzi donne, in carne e ossa). Cioè, quello che volevo dire è che a me non sembra di aver fatto dei gran compromessi. Mi sembra di non averne fatto neanche uno, delle volte abbiamo discusso un po’ prima di arrivare a una conclusione e poi abbiamo concluso quello che sembrava meglio dopo la discussione.

Quanto è importante leggere altri autori per scrivere? Per te è stato fondamentale conoscere altri autori? Credi che sia una regola che si possa applicare a tutti?

Metà delle belle idee, delle belle parole e delle belle lingue saltano fuori da cose che uno legge, è come fare una bella passeggiata a Modena e incontrare delle persone che quando torni a casa sei contento e pieno di bei pensieri e belle emozioni.

C'è qualche regola che ti andrebbe di suggerire a degli aspiranti scrittori?

Solo quella di sentire quell’euforizzazione mentre scrivono, oppure qualcosa che per loro è analogo

Autori che stimi e ami particolarmente?

Ogni volta che uno fa questa domanda uno dice un po’ di cose uguali è un po’ di diverse. Adesso direi Manganelli e Swift, ho appena letto dei pezzi dei viaggi di Gulliver, nella meravigliosa traduzione di Celati, e Swift è un genio, e Manganelli uguale perchè è appena uscito un libro che si chiama "Mammifero italiano", dove ci sono delle cose anche quelle meravigliose, compreso una meravigliosa segata a Pasolini. Ieri l’altro ho parlato con Cavazzoni di Delfini e avrei detto Delfini e anche Ermanno, che però è una cosa un po’ a parte perchè per me è quasi come la mia mamma (per quel che riguarda la letteratura), quindi di Cavazzoni non dico più niente. Venti giorni fa ho letto con Paolo Nori "Un bambino" di Bernhard, che per me è un libro favoloso e uguale "Narratori delle pianure" di Celati, che io e Paolo dovevamo fare una cosa insieme su quei due libri e ci dicevamo che era nato tutto da lì, per noi. E anche Pignagnoli di Daniele Benati, e dire poi Benati, invece di Daniele, che è giusto trattandosi di una intervista, è un po’ ridicolo perchè se Cavazzoni per me è un po’ come una mamma Benati è un po’ come un fratello maggiore, che lavorava già e aveva già delle fidanzate mentre io studiavo ancora. E poi c’era Maurizio Salabelle, che stando in toscana era un po’ un cugino, ma purtroppo è morto, ma i suoi libri sono tutti bellissimi, e lui mi ha consigliato "Le botteghe color cannella" di Schulz che è un altro libro fenomenale e strambo, e per esempio "Da un’opera abbandonata" di Beckett è un’altra cosa che secondo me è veramente bellissima, e così via, Dante, Cavalcanti, Pascoli, Leopardi, Spinoza, Foucault etc…

Nel cinema e nella musica..?

Il ragazzo selvaggio di Trouffaut e Kaspar Hauser e Aguirre, furore di Dio di Herzog sono film che mi hanno veramente colpito quando ero ragazzo, in una rassegna che era stata fatta sul secondo canale rai direi da Claudio G. Fava, ma anche altri cinquemila film, anche perchè mio padre, che era uno di quelli da cinema anche al pomeriggio, finché non hanno messo il divieto di fumare, mi portava sempre a vedere I film che voleva lui, per esempio Odissea nello spazio e Arancia meccanica li devo aver visti che avevo sette o otto anni, direi che mi piacevano. Questa estate mi sono riguardato varie volte alcuni Fantozzi. Un film che mi piace da matti è Le vacanze di Hulot di Tati e così via.

A proposito di Fantozzi (grande mito), spesso l’umorismo viene visto sia nelle letteratura che nella “altre arti” una forma espressiva deteriore, perché; e tu -cosa ne pensi?

Non saprei, ma aldilà dei modi di dire credo che metà o più del grande cinema e della grande letteratura siano più o meno comici, Boccaccio ha del comico, Cervantes anche, Rabelais anche, gli illuministi, la Novella del grasso legnaiolo e buona parte della novellistica, Il buon soldato Scveik, forse anche una parte delle Operette morali etc.

Esiste un forte rapporto tra musica e letteratura; e anche tra “l’orecchio” di chi scrive e sente lo scrivere in quanto suono...Berhard ne è l'esempio lampante. Tu come relazione il tuo scrivere ad una musicalità?

Non saprei, mi viene un po’ così perchè la lingua è in parte musicale ma è troppo difficile da dire il come

I tuoi prossimi programmi editoriali?

Non saprei.



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