Piero Ciampi maledetto poeta







La carriera discografica di Piero Ciampi iniziò nel 1963, ma la notorietà non fu raggiunta ed i dischi rimasero invenduti. A parte pochi addetti ai lavori e qualche intellettuale, l'opera del cantautore livornese non suscitò interesse. Dopo la morte, avvenuta nel 1980, le sue canzoni hanno iniziato una nuova vita, alcune riproposte da Paolo Conte, Gino Paoli e Nada. La casa discografica ha ristampato in CD tutti i suoi dischi. Enrico De Angelis ha curato un importante libro per Arcana, oggi esaurito. A Livorno è stato istituito il premio Ciampi. La maledetta poetica di Ciampi affascina e cattura le nuove generazioni.

Tra i giovani compenetrati dall'opera di Ciampi, l'autrice di questo libro, Gisela Scerman, ha avviato un percorso di ricerca appassionata sulle tracce del poeta andando a raccogliere le testimonianze degli amici, dei collaboratori e dei colleghi di ieri ed oggi. Maledetto poeta ripercorre ripercorre così l'avventura di Piero Ciampi raccontando la quotidianità di un artista ribelle, anticonformista per vocazione, insofferente nei confronti di ogni compromesso, capace di slanci lirici di ineguagliabile bellezza e di una collera leggendaria:
ad un intervista/prefazione di Fernanda Pivano seguono contributi di musicologi, conversazioni con amici di Livorno e Roma, interviste ai più stretti collaboratori e riflessioni di cantautori influenzati dalla sua lingua particolarissima.

Un libro fondamentale per conoscere ed interpretare Piero Ciampi.


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Piero Ciampi

breve biografia attorno l’autore livornese (con l’ausilio delle biografie di Enrico De Angelis e Riccardo Venturi)

piero ciampi




Il porto delle illusioni

Due parole su Piero Ciampi…

Quando ho scoperto Piero Ciampi, o quando lui mi ha incontrato (non so bene…), inizialmente tramite i suoi dischi, successivamente con le poesie, mi ha subito colpito questo amore per il dettaglio che colloca tra le strofe, in maniera apparentemente sbadata, ma totalmente efficace.
Lui sapeva bene che l’inafferrabilità, l’inconsistenza di questa vita, altro non è che una successione di immagini pronte a destabilizzare la ragione e i programmi di una vita in un qualsiasi momento; basta un’intersezione giusta o sbagliata, a stravolgerci; forse irrimediabilmente.
Quando si parla o si sente (nel senso proprio di to feel) attraverso lui, si percorrono non solo luoghi fisici, ma regioni dello spirito, dell’anima, è una toponomastica più profonda, più densa e dettagliata che sa indicarci esattamente l’origine e il posto di alcune cose; quelle cose che in genere sono assopite, lui ce le fa riaffiorare su di una superficie lucida, talvolta mostrate in una vividezza meravigliosamente crudele, in maniera estrema, in tutta la loro autenticità.
Da Livorno a Milano, da Milano a Roma, da Roma alla Francia, sempre un viaggio, in viaggio tra la gente, tra le parole, gli eventi, tra le regioni dei propri ricordi, dei propri sentimenti, dei propri presenti che automaticamente diventano poesia su un qualche tovagliolo, come una confessione a se stesso con la quale poi magari pulirsi la bocca; tutto dunque largamente metaforico, di un modo di essere, di un modo di vivere questo o quel presente scarabocchiato in poesie sì svolazzanti, ma sempre incise in maniera lancinante e profonda, come una colpa.
Alcune espressioni che poi sono stati d’animo non possono che essere tali ieri, oggi, domani, con o senza noi, ci attraversano e talvolta li facciamo nostri, perché li sentiamo vicini, adeguati, esatti; perché sono dettagli di sensazioni, alle quali noi stessi non sappiamo rispondere o peggio ancora, delle quali non riusciamo a formulare l’origine; ma non dimentichiamoci che stanno vivendo di una loro propria autonomia.
Proprio l’autenticità credo sia la caratteristica chiave di Piero Ciampi che non parla mai per metafore o giri di parole (magari di significato sì!), lui è chiaro, non è un Jacques Brel che chiede di essere l’ombra della propria donna o appunto l’ombra del proprio cane, Piero ne “Il lavoro”, è se stesso sempre, anche nell’abbandono non gioca in proiezioni altre; “C’è la mia ombra che chiede asilo”, ma l’ombra è sempre la sua, è lui ad essere costantemente in discussione.
Ciampi non va frainteso, cosa che spesso accade se adocchiato solo in superficie; è una tridimensionalità complessa senza volerlo, in tutta la sua disperazione e disillusione amorevole; con questa sua esclusivissima fragilità forte e battagliera a volte arriva con un’immediatezza mai banale, come una visione, un’epifania d’ascolto o di lettura.
Non c’entrano poi molto il maledettismo, l’auto-distruttività, il menefreghismo se non si intendono in lui altri elementi a mio avviso fondamentali, quale l’ironia e l’auto-ironia con cui accetta questa impossibilità di affrontare serenamente la vita, l’amore che inietta in tutte le tematiche che affronta; tutto diviene così gestito da una certa dolcezza umoristica, dal chiedere le note al merlo, a Ti ricordi via Macrobio? Qualche volta eri felice…, al dover chiedere scusa alla propria compagna per essere senza una lira promettendole “però” e “chissà”, forse al più presto un transatlantico, così gli altri non rideranno più di loro; lui è dolce, anche se iperbolico.
Ciampi è anche un poeta che supera le convenzioni poetiche alla Isaac Newton, e in qualche modo entra in gioco anche la relatività;lui si pone al di fuori, nell’ottica dell’osservatore, prende la jeep, fa passeggiare Cristo nel parco perché in fin dei conti è tutti e nessuno, si oppone al “precipitare” e fa salire il paralitico sul fico… Le vicende qui sì, dipendono dall’osservatore, e se c’è una gravità assoluta, beh Piero se ne frega; lui corre.
Spesso nei suoi testi compaiono frequentemente parole come “Tu”, e come “No”, c he se ci si pensa possono essere intese in una sorta di contrapposizione; in “Tu” c’è sempre l’amore, inteso come interazione, come incontro con un'altra persona, col mondo stesso, nel quale tutto lo svolgibile è ammesso, mentre in “No” coagula la negazione di fronte ad un evento, ad una richiesta, anche se si tratta di una negazione dinamica e guerriera, (difatti lui lo diceva: “Il no è un guerriero…”) con la quale un soldato è pronto a dichiarasi sul fronte, anche con la possibilità di perdere la battaglia, che spesso per Piero è una battaglia con il mondo, con il quale accetta qualche compromesso per una parziale conciliazione (ma ricordiamoci: ”Più di così no!).
Il suo talvolta diviene anche un “No”supplichevole in cui la negazione è rivolta alla donna amata, e in due parole forti come una disperazione quasi ironica lo dice: “Tu no, tu non puoi andare via, tu non devi andare via”, come a dire: “Pensaci bene se te ne vai, cosa mi combini? Ho sbagliato, sì, ma se te ne vai io poi come faccio? Qualche volta alla fin fine con me eri anche felice; pensaci bene…”
Tutto si ricollega alle sue radici, una Livorno che si trascina nell’anima e nel tempo, l’amore verso la madre affetta troppo presto da una demenza che non potrà garantire a Piero e ai suoi fratelli una vera presenza; è un’assenza irrecuperabile, un’assenza che assedia, un viso di primavera che vive nei giardini, tra gli abbracci dei fiori, ma ormai forse troppo distante... Piero per primo lo dichiara “La jungla comincia in famiglia”, e quello che dice lui lo sente davvero, si percepisce; poi fa qualche altro passo e in un altro brano dice: “La vera guerra si combatte con il cuore, non con le armi, per questo io sono un eroe…”, e ritorna sempre lì, puntuale, nella capitale dei sentimenti.
Piero Ciampi trasforma il verbo in carne (forse lui lo avrebbe preferito in vino…!), ma le sue parole appaiono come un corpo fisico, sono una morfologia tangibile, non è il suo un linguaggio di mediazione, ma di essenza; è un intreccio di visioni e sensazioni che tramutano, si trasmutano in brandelli di versi da sovrapporre o sostituire, quando capita, e se capita, oggi ad una base musicale, domani ad un’altra.
A sentirli per intero, provini e varianti sembrano gli stessi abiti rammendati e adattati, a volte alla meglio, altre con cura infinita, comunque sia sempre vestibilissimi anche quando aggiustati e improvvisati all’ultimo momento.
È questa coerenza intrinseca che non gli permette il totale sbandamento, oscilla, si riprende, fa finta di nulla e gli riesce pure bene.
Insomma a volte deve perdere la ragione per stare calmo, e poi riparte per la sua strada con chi la può condividere.
La vita stessa ci getta in pasto al caso e può capitare che la disorganizzazione prenda la meglio, nostro malgrado; pur imprecando, credere davvero di trovare un piano di fuga o di organizzazione forse diviene presunzione.
Tutto va preso con serietà e Piero lo aveva capito per primo che “La vita è una cosa che prende, porta e spedisce”, ma soprattutto spedisce, vien da dire.
Almeno, se dovremo (e si sa che dovremo...), “scendere nel gorgo muti”, poterci togliere il dubbio se quel mutismo sarà di rassegnazione o di stupore.
Io spero di stupore.
Del resto, Piero stesso diceva: ”La morte mi fa ridere, la vita no!”

Gisela Scerman

Piero Ciampi
Poesie scelte 1973

Notte
Quanto
Me ne fotte
Di non dire
Di dover partire



Cara.
La tua mano
è così piccola
mi sfuggirà
sempre.



Perché
dici di amarmi?
Per andare
Avanti?
Dove?
Là.
No.



Tu
spiegandomi
che la vita
è una cosa seria
mi implorasti
di ignorare
il tuo pensiero.



Il coraggio
dopo lunga attesa
entrò in chiesa
e sposò la paura.
Fu un matrimonio
di interesse
Moltissimi figli
nacquero
e da allora
non si contano
le stragi.



Era domenica
e Cristo
passeggiava
nel parco.
L’aria ansava.
Dietro la coscienza.
era quella di sempre.
Pensante.
I morti
visto il ritorno
finsero
di dormire.



A 1000 anni
ho dimenticato
in treno
la mia borsa
Dentro le poesie
una camicia
e qualche fazzoletto.
Ho messo a soqquadro
mezza polizia
la stazione
e mi guardavano
come un pazzo.
A Ponte Sisto
ho bevuto
sei litri
al cubo.
In piazza del Biscione
sono morto.



Stanco
di sopravvivere
a sopportare
la strage
Cristo
chiese una jeep
s’inoltrò nella foresta
e s’impiccò.
Una scimmia
attorcigliata ad una liana
per divertire i figli
lo imitò.
Orfani di guerra
cercano il suo odore
tra le foglie
Invano.



Anche
domani
tutto
questo
mai
mio.



Il dolore
scuoteva
la mia anima
Ella
lo prese
lo acquisì
e si sedette.



Padre
Volevo vederti.
Sono qui
per questo.
Vederti.
Rivederti.
Capisci.
Ma ti stupisci.
E così
È il solito
arrivederci.



Tu.
Dici.
che ho distrutto
la tua vita.
Capirai mai
che il tuo dolore
si è aggiunto
al mio?

(Questa poesia costituisce anche una parte della canzone “Sporca estate”)



Io
Sottoscritto
Nato
Il 28 di
Settembre
morto
circa
una settimana
prima
o dopo.
Non ricordo.




Canzoni scelte


Tra lupi
Le mani convulse coglievano tremanti
grappoli d’uva rosa come la sua ferita.
Ferita del cuore per la fame del corpo
ferita del corpo per il dolore del cuore.
Gli occhi stravolti,
le braccia colme,
fuggì per i campi in cerca di un rifugio.
Da una collina vicina
sedute in silenzio per un giusto riposo,
centinaia di occhi scoprirono il furto
e urlarono in coro:
al ladro, al ladro, al ladro…
Egli volse la testa e li mise a tacere,
poi riprese la fuga
ad inseguire la dignità esasperata.



Uffa che noia
Uffa che noia la sera che cade
mi sembrano squalo tra due margherite
Uffa che noia, uffa che noia.
Uffa che noia la gente che cerca una casa deserta
quando viene la tempesta.
Uffa che noia, lei venne e mi disse
“io sono la tua” ed io le credetti.
Sembrava una fata e non lo era, e non lo era,
Uffa che noia.
Uffa che noia, non è ancora finito
questo squallido imbroglio tra la vita e la morte,
Uffa che noia, uffa che noia, uffa che noia.
La jungla comincia in famiglia
sono anni che combatto in quella foresta.
La vera guerra non si fa con le armi,
si fa con il cuore,
Ma uffa che noia questa
nottepiovosa,
mi sembra una madre che ha perso suo padre,
uffa che noia.
Uffa che noia, che importanza può avere
o maestro o buffone?
questo sole cala sulle sere
uffa che noia, uffa che noia,
uffa che noia, uffa che noia.
Uffa che noia.



L’incontro
Domani
la mia camicia sarà pulita,
le mie pupille bianche,
il mio passo fermo,
i calzoni stirati,
le scarpe lucide,
e la mano non deve tremare
costi quel che costi.
Non ti potrò baciare
Perché anche tra noi due l’attesa è sacra
e la diffidenza necessaria.
Forse comincerò a prenderti la mano,
poi non saprà come continuare,
farò di tutto perché tu non capisca
l’indifferenza che a questo mondaci perseguita.
Stanotte allenerò le mie labbra
a sorridere.
E dovrò quindi pensare
A lavarmi fino alla morte i denti.
Vorrei piacerti come un tempo
ma la mia pelle stanca
e non posso nascondere il mio volto.
Dovresti essere forte e dirmi,
lasciandomi alla mia vita di sempre,
che ormai per te sono un estraneo
e che ha ragione la gente
quando dice che merito la solitudine.
Ma guarda tu che cosa ti dico:
sarebbe molto meglio per te
che te ne andassi
prima di incontrarmi.



Dario di Livorno
In un triste giorno Dario di Livorno
prese una pistola e sparò.
Era carnevale, ma la polizia
ugualmente lo arrestò
E fu così che un triste giorno
Dario finì in manicomio
Dove imparò che tutti i matti non vivono in libertà.
Ma Dario di Livorno, che non era matto,
stando in mezzo ai matti impazzì.
Dopo aver scontato tutta la sua pena
Salutò gli amici e partì
e fu cos’ che un triste giorno
Dario sparò ad un commissario
e lo ammazzò
e poi, felice, tra gli amici matti
egli tornò.



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